Sciopero generalizzato! Contro la crisi, reddito per tutti!
Con Alexis nel cuore, al fianco dei compagni greci!
,Oltre 2000 studenti e precari arrivati da tutte le Marche, incuranti della pioggia battente, hanno dato vita allo spezzone autonomo dell’Onda Anomala marchigiana all’interno della manifestazione di Ancona.
Lo spazio di un movimento indipendente e irrapresentabile costruito da una grande assemblea regionale di tutti i movimenti studenteschi che ha lanciato l’appello alla generalizzazione dello sciopero per scendere in piazza con tutti quelli che reclamano che la crisi la paghino quelli che l’hanno generata. [leggi su GlobalProject Marche]
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Intanto continua in Grecia la rivolta dopo che la polizia ha ucciso, il 6 dicembre scorso, un giovane militante di 15 anni, Alexis Grigoropulos.
I poliziotti, entrati nel quartiere di Exarchia, il più politicizzato della città, hanno risposto ai fischi di alcuni giovani, sparando in direzione degli stessi: il ragazzo, trasportato all’ospedale, vi è giunto ormai privo di vita.
Il grave episodio ha messo a nudo la difficile situazione greca, colpita dalla crisi economica e da un tentativo di riforma dell’università. Le proteste sono subito partite e attualmente il politecnico e altre università di Atene sono state occupate dagli studenti. Contemporaneamente, si sono verificati anche altri scontri fra polizia e cittadini in diverse città greche e azioni di solidarietà sono state organizzate in tutta Europa.
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CON IL SANGUE ANCORA NEGLI OCCHI…
CON LA RABBIA ANCORA TRA LE MANI…
HANNO PAGATO CARO MA CI DEVONO ANCORA TANTO
Il dicembre del 2008 vale come se fossero anni. L’
uccisione del
compagno quindicenne Alexis Grigoropoulos, da parte
dell’ assassino di stato
Epaminondas Korkoneas nel quartiere di Exarchia il
6.12.08, e’ stata la
fiamma attraverso la quale il dolore e’ diventato
rabbia, e la rabbia
rivolta. Dalla stessa notte e per molti giorni e
notti, la
controviolenza sociale e di classe e’ dilagata nelle
strade di Atene, di Salonicco
e di decine di altre citta’ e cittadine elleniche per
restituire al
potere una parte di vendetta. Una vendetta che ha
trovato i modi per
esprimersi collettivamente con vari mezzi, in massa e
individualmente, sia
spontaneamente che in maniera organizzata.
I cortei e gli scontri con i cani da guardia della
democrazia greca, le
decine di manifestazioni e gli attacchi ai covi della
polizia greca,
gli incendi e le devastazioni di centinaia di banche
ed esercizi
commerciali, le distruzioni e gli espropri delle
merci, l’albero di natale
bruciato nella piazza del parlamento sono state
alcune delle negazioni
alzate dinanzi al dilemma che esiste da quando esiste
il potere:
inginocchiato o rivoltoso, cittadino pacificato o
uomo.
Era la prima volta dopo la caduta della dittatura, in
tempi di
democrazia, che cosi’ tanti e tante, diversi e
diverse, uguali tra uguali,
donne e uomini, ragazzi e ragazze, indigeni e
indigene, immigrati ed
immigrate hanno negato i ruoli che gli ha imposto il
potere ed hanno
contestato con la pratica il privilegio dello stato ,
quello di uccidere
impunito.
Le occupazioni dei consolati greci cosi’ come gli
attacchi che hanno
subito, le manifestazioni, che in alcuni casi hanno
avuto come esito
arresti e detenzioni preventive in decine di città in
tutto il mondo hanno
dimostrato che gli esclusi della terra sanno
condividere la lingua
della strada e della solidarietà.
Le lavatrici dei cervelli tramite gli schermi
televisivi, la rete, le
prime pagine e le trasmissioni radiofoniche hanno
avuto fretta di ‘
spiegare’ e di dividere tra studenti medi ‘buoni’ ed
incappucciati
‘cattivi’, tra manifestanti ‘pacifici’ ed immigrati
‘ladri’. Hanno tentato di
seminare il terrore e la confusione. Ma e’ stato
inutile. La rivolta e’
stata una e indivisibile. Quelli e quelle che si
trovano nelle strade
conoscono i motivi e le ragioni che l’hanno
innescata.
L’unica divisione che esiste in una società classista
di sfruttamento
ed oppressione e’ venuta fuori fin dalle prime ore
successive all’
assassinio di Alexis. Da una parte delle barricate si
trovavano le
moltitudini agitate degli insorti. Dall’altra i loro
nemici: lo stato per
proteggere il suo potere, i suoi sbirri per picchiare
ed arrestare, gli alti
gradi dell’esercito per dichiarare l’ allarme giallo,
i neonazi
parastatali per aiutare le forze repressive, i pm e i
giudici per
imprigionare, i partiti per avere -ognuno con i suoi
modi- consenso politico, i
costruttori dell’ opinione pubblica per diffamare
coscienze, i preti ladri
per scomunicare, i piccoli e grandi commercianti per
piangere le loro
ricchezze, i benpensanti per pretendere ordine e
sicurezza, per
pretendere quindi la realizzazione delle ideologie
che hanno armato le mani di
decine di assassini, come Korkoneas, per rubare la
vita a decine di
insubordinati come Alexis.
Le vetrine fragili si sono fatte a pezzi e con esse
tutte le illusioni
di un benessere dato dalla schiavitu’ volontaria, un
benessere che non
puo’ essere ormai promesso e garantito da nessuno. I
bancomat non
sputavano piu’ soldi, ma fuoco.
Nessuna propaganda puo’ nascondere la verita’ che ha
illuminato le
strade. Nessuna guerra chimica, nessuna repressione
puo’ imporre un
silenzio da cimitero. Niente sara’ come prima.
In queste settimane, durante le quali e’ stata messa
in atto quella che
sarebbe potuta diventare una guerra civile, tutte le
coscienze hanno
dovuto fare una scelta: con la vita o con la morte,
con la rivolta o con
il potere.
La lingua mediatica e intellettualoide del recupero
piange
ininterrottamente: ‘non hanno fatto richieste, e’
stata solo un’ esplosione, si
tratta di violenza cieca’. Allora si’, signori e
signore, non chiediamo
niente, perche’ vogliamo tutto, perche’ in questo
mondo preferiamo
nascondere i nostri volti ed attaccare. Piu’ non
capite quello che diciamo e
quello che facciamo, piu’ siamo sicuri che siamo
sulla strada giusta,
sulla strada della negazione di questo mondo-galera.
Inutilmente cercate
di spingerci al dialogo, noi non abbiamo richieste da
fare, solo
rivendicazioni che non elemosiniamo, ma proviamo ad
ottenere con la pratica
dei nostri gesti: autorganizzazione e solidarietà,
complicità e
rispetto reciproco tra gli/le oppressi/e, odio
infinito per il potere e azione
diretta per la sua distruzione.
Decine di occupazioni di università , di scuole e di
edifici statali e
comunali sia in centro sia nei quartieri di Atene e
di tante altre
città del paese. L’autogestione del quotidiano
all’interno di queste,
basata sull’ eguaglianza e orizzontalità. Le mense e
i caffe’ autorganizzati
con i prodotti espropriati. I volantini, le riviste,
i manifesti, le
radio e i siti autogestiti come mezzi di
controinformazione. Le
iniziative e i concerti di solidarietà e di sostegno
economico per gli
arrestati. Le occupazioni di emittenti
radiotelevisive pubbliche e private. Le
irruzioni durante spettacoli teatrali. Le assemblee
molto partecipate
con le loro decisioni senza presidenti e votazioni.
L’ interesse
dell’uno per l’altro contro la logica
dell’indifferenza. La condivisione, e
non l’atomizzazione. Il sentimento vitale della
comunità che resiste a
dispetto della gabbia invisibile che e’ la famiglia.
Queste sono le
nostre rivendicazioni! Questi sono i segni tangibili
del mondo che sognamo!
Sappiamo bene che per rendere questo mondo veramente
reale dobbiamo
prima demolire una volta per tutte il mattatoio che
chiamate stato,
democrazia e libero mercato. Una pallottola statale
ha fatto sporcare le
mutande di seta dei padroni di questo mondo. Lo sanno
bene che niente è
finito e niente finirà. Lo sappiamo anche noi. Perchè
lo dobbiamo prima di
tutto a noi stessi. Perchè non ci appartiene il
ritorno alla miseria
della ‘normalità’. Perchè lo dobbiamo ad Alexis
Grigoropoulos e non
solo. Lo dobbiamo a Michalis Kaltezas, a Stamatina
Kanellopoulou, a Iakovos
Koumis. Lo dobbiamo a Tony Onoua, ad Edison Giaxai e
alle decine di
fratelli e sorelle di classe che sono caduti nelle
strade, nei confini,
nei commissariati, nelle galere e nei luoghi della
schiavitu’ salariata.
Lo dobbiamo a Konstantina Kuneva, la sindacalista
combattiva che dal
23.12.08 si trova in ospedale a lottare per la sua
vita, dopo aver
subito un attaco vigliacco da parte degli scagnozzi
del padronato
socialdemocratico di oik.o.me.t ( azienda di pulizie
per la quale la donna
lavorava nella metropolitana di Atene) , perche’ ha
scelto di lottare per i
diritti suoi e delle sue colleghe. Lo dobbiamo alle
centinaia di
inquisiti/e, alle decine di prigionieri/e di questa
rivolta che non lasceremo
soli/e nelle mani dell’ affamata giustizia greca…
I PRIGIONIERI DELLA RIVOLTA NON SONO SOLI! NIENTE E’
FINITO, NIENTE
FINIRA’! TUTTO CONTINUA, TUTTO…
Anarchici ed Anarchiche dal Deserto del Reale Atene
http://indy.gr/…on-katastaltiko-rolo-toy-stratoy
http://tapesgoneloose.blogspot.com/
Letter from army camps refuting the army’s repressive role
Centinaia di soldati dei 42 campi dell’esercito dichiarano:
CI RIFIUTIAMO DI DIVENTARE
UNA FORZA DI TERRORE E DI REPRESSIONE CONTRO LE MOBILITAZIONI;
APPOGGIAMO LA LOTTA DEGLI STUDENTI DI SCUOLA/UNIVERSITA’ E DEI LAVORATORI.
Siamo dei soldati da ogni parte della Grecia [è necessario qui osservare
che in Grecia è ancora in vigore la coscrizione e che riguarda tutti i
greci maschi; la maggior parte o forse anche tutte le persone che firmano
questo sono legati al popolo che al momento stanno servendo nel servizio
militare obbligatorio – non reclute dell’esercito]. Soldati ai quali, a
Hania, è stato ordinato di opporsi a studenti universitari, lavoratori e
combattenti del movimento movimento antimilitarista portando le nostre armi
e poco tempo fa. [Soldati] che portano il peso delle riforme e della
“preparazione” dell’esercito greco. [Soldati che] vivono tutti i giorni
attraverso l’oppressione ideologica del militarismo, del nazionalismo dello
sfruttamento non retribuito e della sottomissione ai “[nostri] superiori”.
Nei campi dell’esercito [nei quali serviamo], sentiamo di un altro
“incidente isolato”: la morte, provocata dall’arma di un poliziotto, di un
quindicenne di nome Alexis. Sentiamo di lui negli slogan portati sopra le
mura esterne del campo come un tuono lontano. Non sono stati chiamati
incidenti anche la morte di tre nostri colleghi in agosto? Non è stata
pure chiamata un incidente isolato la morte di ciascuno dei 42 soldati che
sono morti negli ultimi tre anni e mezzo? Sentiamo che Atene, Thessalonica
ed un sempre crescente numero di città in Grecia sono diventate campi di
agitazione sociale, campi dove viene recitato fino in fondo il risentimento
di migliaia di giovani, di lavoratori e di disoccupati. Vestiti con
uniformi dell’esercito ed “abbigliamento da lavoro”, facendo la guardia al
campo o correndo per commissioni, facendo i servitori dei “superiori”, ci
troviamo ancora lì [in quegli stessi campi]. Abbiamo vissuto, come
studenti universitari, come lavoratori e come disperatamente disoccupati,
le loro “pentole d’argilla”, i “ritorni di fiamma accidentali”, i
“proiettili deviati”, la disperazione della precarietà, dello
sfruttamento, dei licenziamenti e dei procedimenti giudiziari. Ascoltiamo i
mormorii e le insinuazioni degli ufficiali dell’esercito, ascoltiamo le
minacce del governo, rese pubbliche, sull’imposizione dello “stato
d’allarme”. Sappiamo molto bene cosa ciò significhi. Viviamo attraverso
l’intensificazione [del lavoro], aumentate mansioni [dell’esercito],
condizioni estreme con un dito sul grilletto. Ieri ci è stato ordinato di
stare attenti e di “tenere gli occhi aperti”.
Ci chiediamo: A CHI CI AVETE ORDINATO DI STARE ATTENTI?
Oggi ci è stato ordinato di stare pronti ed in
allarme. Ci chiediamo? VERSO CHI DOVREMMO STARE IN ALLARME?
Ci avete ordinato di stare pronti a far osservare lo stato di ALLARME:
– Distribuzione di armi cariche in certe unità dell’Attica [dove si trova
Atene] accompagnata anche dall’ordine di usarle contro i civili se
minacciate. (per esempio, una unità dell’esercito a Menidi, vicino agli
attacchi contro la stazione di polizia di Zephiri)
– Distribuzione di baionette ai soldati ad Evros [lungo la frontiera turca]
– Infondere la paura nei dimostranti spostando i plotoni nell’area
periferica dei campi
dell’esercito
– Spostare per protezione i veicoli della polizia nei campi
dell’esercito a Nayplio-Tripoli-Korinthos
– Il “confronto” da parte del maggiore I. Konstantaros nel campo di
addestramento per reclute di Thiva riguardo l’identificazione di
soldati con negozianti la cui proprietà è
stata danneggiata
– Distribuzione di proiettili di plastica nel campo di
addestramento per reclute di Corinto e l’ordine di sparare contro i nostri
concittadini se si muovessero “minacciosamente” (nei riguardi di chi???)
– Disporre una unità speciale alla statua del “Milite ignoto” giusto di
fronte ai dimostranti sabato 13 dicembre come pure mettere in posizione i
soldati del campo di addestramento per reclute di Nayplio contro la
manifestazione dei lavoratori
– Minacciare i cittadini con Unità Operazioni Speciali dalla Germania
e dall’Italia – nel ruolo di un esercito di occupazione – rivelando
così il vero volto anti-lavoratori/autoritario della U.E.
La polizia che spara prendendo a bersaglio le rivolte sociali
presenti e future. E’ per questo che preparano un esercito che assuma i
compiti di una forza di polizia e la società ad accettare il ritorno
all’esercito del totalitarismo riformato. Ci stanno preparando ad opporci
ai nostri amici, ai nostri conoscenti ed ai nostri fratelli e sorelle. Ci
stanno preparando ad opporci ai nostri precedenti e futuri colleghi al
lavoro ed a scuola. Questa sequenza di misure dimostra che la leadership
dell’esercito, della polizia e l’approvazione di Hinofotis (ex membro
dell’esercito professionale, attualmente vice ministro degli interni,
responsabile per “agitazioni” interne), del QG dell’esercito, dell’intero
governo, delle direttive della U.E., dei
negozianti-come-cittadini-infuriati e dei gruppi di estrema destra mirano
ad utilizzare le forze armate come un esercito di occupazione – non ci
chiamate “corpo di pace” quando ci mandate all’estero a fare esattamente le
stesse cose? – nelle città dove siamo cresciuti, nei quartieri e nelle
strade dove abbiamo camminato. La leadership politica e militare dimentica
che siamo parte della stessa gioventù. Dimenticano che siamo carne della
carne di una gioventù che sta di fronte al deserto del reale all’interno
ed all’esterno dei campi dell’esercito. Di una gioventù che è furibonda,
non sottomessa e, ancora più importante, SENZA PAURA. SIAMO CIVILI IN
UNIFORME.
Non accetteremo di diventare strumenti gratuiti della paura che
alcuni cercano di instillare nella società come uno spaventapasseri. Non
accetteremo di diventare una forza di repressione e di terrore. Non ci
opporremo al popolo con il quale dividiamo quegli stessi timori, bisogni e
desideri/lo stesso futuro comune, gli stessi pericoli e le stesse speranze.
CI RIFIUTIAMO DI SCENDERE IN STRADA PER CONTO DI QUALSIASI STATO D’ALLARME
CONTRO I NOSTRI FRATELLI E SORELLE. Come gioventù in uniforme, esprimiamo
la nostra solidarietà al popolo che lotta e urliamo che non diventeremo
delle pedine dello stato di polizia e della repressione di stato. Non ci
opporremo mai al nostro popolo. Non permetteremo nei corpi dell’esercito
l’imposizione di una situazione che ricordi i “giorni del 1967” [quando
l’esercito greco ha effettuato il suo ultimo colpo di stato].
http://www.globalproject.info/art-18332.html
La nostra differenza di età e la generale estraniazione ci rende difficile parlarvi nelle strade, per questo vi scriviamo questa lettera.
Molti di noi non sono (ancora) pelati o con la pancia. Siamo esponenti del movimento del 1990-1. Crediamo che ne abbiate sentito parlare. Allora, e durante le occupazioni delle nostre scuole durate 30-35 giorni, i fascisti uccisero un insegnante perché era andato oltre il ruolo naturale (di nostro guardiano) e aveva oltrepassato la linea, era venuto con noi nella nostra lotta. Allora, tutti scesero in piazza e fu rivolta. Ma noi nemmeno pensammo di fare quello che fate voi oggi: attaccare le stazioni di polizia (per quanto cantassimo “bruciamo le stazioni di polizia…”).
Voi ci avete superato, come sempre accade nella storia. Le condizioni certo sono diverse. Negli anni ’90 ci hanno venduto l’idea e la prospettiva di successo personale e alcuni di noi se la sono bevuta. Ora le persone non credono più a questa storiella. I vostri fratelli maggiori ce l’hanno mostrato durante i movimenti studenteschi del 2006-7. Oggi voi risputate loro in faccia la loro stessa favoletta.
Fino a qui tutto bene.
Ora la parte più dura, e pure buona, inizia.
Vi diciamo che abbiamo imparato dalle nostre lotte e sconfitte (perché finchè il mondo non è nostro ci saranno sempre sconfitti) e voi potete usare come meglio credete quello che noi abbiamo imparato:
Non rimanete da soli. Chiamateci, chiamate tutte le persone che potete. Non sappiamo come potrete farlo, troverete voi il modo. Avete già occupato le vostre scuole e ci dite che la ragione principale è che non vi piacciono. Bene. Siccome le avete già occupate, ora cambiatene il ruolo. Condividete le vostre occupazioni con gli altri. Fate sì che le scuole diventino i primi palazzi che ospitano le nostre nuove relazioni. La loro arma più potente sta nel dividerci. Come non avete paura a attaccare le loro stazioni di polizia perché siete insieme, uniti, non abbiate paura di chiamarci per cambiare tutti insieme le nostre vite.
Non ascoltate le organizzazioni politiche (siano anarchici o altri). Fate ciò che ritenete e avete bisogno di fare. Credete alle persone, non a schemi o idee astratte. Credete nelle vostre relazioni dirette con le persone. Credete ai vostri amici, coinvolgete il numero maggiore possibile di persone nella lotta. Non ascoltate chi dice che la vostra lotta non ha contesto politico e che lo dovete trovare. La vostra lotta è il contesto. Avete solo la vostra lotta e farla continuare è nelle vostre mani. Solo questo può cambiare le vostre vite e le relazioni reali con i vostri compagni.
Non abbiate paura di continuare quando vi confrontate con nuove cose. Ognuno di noi, diventando più grande, ha cose impiantate nella testa, anche voi ma siete più giovani. Non dimenticatevelo. Nel ’91 abbiamo sentito il profumo di un nuovo mondo e l’abbiamo trovato, credeteci, duro. Abbiamo imparato che ci devono sempre essere dei limiti. Ma non abbiate paura di assaltare negozi. Noi produciamo le cose, sono quindi nostre. Ci insegnano che bisogna alzarsi ogni mattina per produrre cose che poi non saranno mai nostre. Riprendiamocele e condividiamole. Come condividiamo gli amici.
Ci scusiamo di questa rapida lettera, ma la scriviamo scansandoci dal lavoro, di nascosto dal capo. Siamo imprigionati al lavoro, come voi nelle vostre scuole.
Ora racconteremo una bugia e ce ne andremo dal lavoro: veniamo a raggiungervi in piazza Syndagma con le pietre nelle nostre mani.